Una riflessione del prof. Giuseppe Cannazza, membro del Comitato Scientifico di Federcanapa


Non leggere quest’articolo se sei convinto che la cannabis, la canapa, la marijuana o come la vuoi chiamare sia solo una droga e deve essere combattuta con ogni mezzo. Non leggere quest’articolo se sei convinto che la cannabis, la canapa, la marijuana o come la vuoi chiamare debba essere liberalizzata ad ogni costo. Insomma non è un articolo adatto a quelli incardinati sulla loro posizione ma invece lo legga chi vuole capire veramente che cos’è la cannabis senza pregiudizi.

La canapa è canapa, la marijuana è marijuana!!!! (Per chi vuol capire la cannabis: non adatto a bigotti o sfattoni)

Giuseppe Cannazza

La canapa è canapa, la marijuana è marijuana!!!! (Per chi vuol capire la cannabis: non adatto a bigotti o sfattoni) Giuseppe Cannazza Iniziamo dalle fondamenta: LA CANNABIS E’ UNA PIANTA. Sì, una pianta, come quella del grano, della vite, della cicoria, del basilico ecc. Alcuni dicono che è stata una delle prime piante coltivate dall’uomo, una pianta addomesticata. Quindi insieme al grano e alla vite, l’uomo sembra che abbia coltivato la cannabis.

Perché? La cannabis è una pianta che PUO’ DARE MOLTO e ha dato molto all’uomo: fibra per vestirsi, semi per nutrirsi, fusti per riscaldarsi e fiori per curarsi. Le fibre del suo fusto si possono intrecciare per dare corde, tessere per dare tele e vestiti; i suoi semi sono un super-alimento ricco di grassi insaturi e proteine che ritroviamo nell’olio e nella farina di canapa; i residui legnosi sono utilizzati come fonte energetica mentre i fiori contengono cannabinoidi e terpeni impiegati per la cura di diverse patologie. Per questi mille e più utilizzi la cannabis ha sempre accompagnato l’uomo nella sua storia. Basta fare un giro su internet per trovare che residui di cannabis sono stati trovati in tombe preistoriche, che tutte le grandi civiltà in Mesopotamia, Egitto, Grecia e Roma la coltivavano e la utilizzavano.

Passeggiando per il centro di Bologna sotto il portico di via Indipendenza basta alzare lo sguardo e sotto un primo arco si legge in affreschi medioevali “panis vitae”, sotto il secondo arco “cannabis protectio” e sotto il terzo “vinum laetitia”. Nella casa di mio nonno sono ancora conservati i telai e gli strumenti per coltivare la cannabis: l’Italia era una delle maggiori esportatrici di cannabis e nel 1925, si diceva: “La canapa ………. è destinata ad emanciparci quanto più possibile dal gravoso tributo che abbiamo ancora verso l’estero nel settore delle fibre tessili. Non è solo il lato economico agrario, c’è anche il lato sociale la cui incidenza non potrebbe essere posta meglio in luce che dalla seguente cifra: 30.000 operai ai quali da lavoro l’industria canapiera italiana”.

A questo punto è necessaria una precisazione su che cosa differenzia la cannabis dalla canapa, dalla marijuana, dalla ganja e dai mille nomi con cui è chiamata. In realtà si tratta sempre della stessa specie cioè la cannabis sativa L.. Questa pianta produce nella sua infiorescenza una caratteristica classe di composti detti fitocannabinoidi. I principali sono il tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD). Il THC è il componente psicoattivo con effetto stupefacente mentre il CBD, nonostante i tanti effetti farmacologici, non ha alcun effetto stupefacente. Con il nome canapa si intendono quindi quelle varietà di cannabis che non producono THC (se non in bassissime quantità) mentre possono avere alte concentrazioni di CBD. Quindi le varietà ad alto contenuto di THC sono quelle droganti mentre quelle varietà a basso contenuto di THC ed alto contenuto di CBD sono dette “canapa” e sono utilizzate per altri scopi.

QUINDI LA CANAPA E’ UNA VARIETA’ DI CANNABIS.

Il fatto che infiorescenze di varietà diverse di cannabis siano morfologicamente difficilmente indistinguibili ha portato il legislatore a fare, letteralmente, di tutta l’erba un fascio: proibendo la cannabis ha contemporaneamente proibito la canapa. Questo è successo in Italia nel 1961 con l’adesione al trattato internazionale delle sostanze stupefacenti. Questo ha altresì portato l’opinione pubblica ad una completa associazione tra canapa e varietà di cannabis stupefacente (che chiamerò marijuana).

Ci sono voluti anni e tanto lavoro da parte di associazioni di coltivatori per ripristinare la differenza tra canapa e marijuana, arrivando alla Legge 242 del 2016 sulla promozione della coltivazione della canapa industriale. Questa legge quadro promuove la filiera della canapa in Italia a patto di coltivare varietà certificate iscritte nel catalogo europeo (circa 62 varietà art. 17 della direttiva 2002/53 Ce del Consiglio, del 13 giugno 2002). E L’INFIORESCENZA???…nella legge non viene nominata se non per il controllo del suo contenuto in THC che non deve superare lo 0.2% (anche se viene tutelato il coltivatore fino allo 0.6%). Ma come, la parte più preziosa della pianta, quella che contiene il prezioso CBD a concentrazioni anche notevoli fino al 4-5% (4-5 g ogni 100 g di infiorescenza), più costoso dell’oro (i prezzi attuali di 1g di CBD si aggirano intorno ai 30-90 euro) deve essere abbandonata nel campo? Solo per parlare del CBD ma non dimentichiamo che nell’infiorescenza sono contenuti altri cannabinoidi con proprietà nutraceutiche, cosmeceutiche e farmacologiche diverse a seconda della varietà di canapa e che dire del prezioso olio essenziale estratto per distillazione e privo di cannabinoidi ma costituito dai terpeni le sostanze odorose della canapa? A questo punto sarebbe facile accusare l’incompetente politico nazionale di turno: ha dimenticato di indicare l’utilizzo dell’infiorescenza della canapa nella legge. Oppure si potrebbe pensare al complotto proibizionista o antiproibizionista, dipende dai punti di vista.

IN REALTA’ QUESTA VOLTA L’ITALIA O L’EUROPA NON HANNO COLPE, SI TRATTA DI UN PROBLEMA INTERNAZIONALE

L’Italia insieme alla maggior parte del resto del mondo, è firmataria di un accordo internazionale delle Nazioni Unite sul controllo delle sostanze stupefacenti: la Single Convention del 1961. Per quest’accordo la cannabis è definita come l’infiorescenza accompagnata dalla resina di qualsiasi varietà della pianta cannabis (‘“Cannabis” means the flowering or fruiting tops of the cannabis plant (excluding the seeds and leaves when not accompanied by the tops) from which the resin has not been extracted, by whatever name they may be designated’).

Questo comporta che qualsiasi infiorescenza di cannabis, compresa la canapa industriale, indipendentemente dalla concentrazione di THC, è considerata per la legge internazionale sostanza d’abuso. Ad oggi soltanto l’Uruguay, il Canada e alcuni stati USA (ma non a livello federale) hanno trasgredito questo accordo ricevendo “tirate d’orecchie” dall’organismo internazionale deputato al controllo (International Narcotics Control Board, INCB). Quindi l’Italia si è guardata bene dal permettere la commercializzazione dell’infiorescenza di canapa in quanto diversamente avrebbe violato un accordo internazionale. Ha preferito, come tanti altri Stati, non scrivere nulla, lasciando un vuoto legislativo. Ma se qualcosa non è vietata allora è permessa… E’ qui che entra in gioco la cannabis light cioè l’infiorescenza di canapa.

Nata come disobbedienza civile, quindi con uno scopo prettamente ideologico, il fenomeno cannabis light è diventato nel giro di un anno un business milionario. Un lancio commerciale involontario di un prodotto che neanche la più geniale agenzia pubblicitaria sarebbe stata in grado di organizzare. Penso che un tale caos non fosse lontanamente previsto dall’intelligente ideatore del fenomeno. Così oggi i negozi che vendono cannabis light non si contano più e le forze dell’ordine non capiscono se si tratta di canapa o di marijuana: a vederle sono identiche. Le diverse sezioni penali della Cassazione hanno rilasciato sentenze contrastanti che hanno portato alla necessità del giudizio a Sezioni Unite “sballa tutto” del 30 di maggio.

In ogni modo questo sembra un percorso simile ma inverso a quello che ha portato alla scomparsa della coltivazione della canapa. Se in quel periodo la canapa venne associata alla marijuana oggi la marijuana viene associata alla canapa. Tuttavia gli scopi sono esattamente opposti: nel primo caso il proibizionismo contro la droga marijuana portò alla scomparsa della coltivazione della canapa, nel secondo l’antiprobizionismo utilizza la rinascita della coltivazione della canapa per la liberalizzazione della marijuana. Insomma la sfortunata è sempre la cannabis canapa. Se si fosse chiamata “cicoria” probabilmente il suo destino sarebbe stato diverso e magari oggi sarebbe una coltivazione simile al grano o alla vite come lo era appena 50 anni addietro. I benefici della canapa non solo economici ma soprattutto in termini di ecosostenibilità sono indubbi e documentati da secoli e secoli di coltivazione. All’utilizzo in campo alimentare, manufatturiero e cosmetico si deve aggiungere il suo impiego in campo farmaceutico. L’infiorescenza di canapa è ricca di principi attivi che la fanno sembrare una vera e propria industria farmaceutica vegetale: a seconda della varietà di canapa si possono ottenere cannabinoidi e terpeni diversi ciascuno con proprietà farmacologiche specifiche per determinate patologie. La nascente industria d’estrazione dei principi attivi dall’infiorescenza della canapa promette l’ottenimento di farmaci green in un’ottica di economia circolare. Non poco in questo periodo di cambiamenti climatici e lotta all’inquinamento, certamente Greta approverebbe…

Si, è vero, il ripristino della coltivazione della canapa sarebbe una grande rivoluzione green e soprattutto l’impiego dell’infiorescenza a scopi manufatturieri, cosmetici, alimentari e farmaceutici. Rimangono però due grandi problemi: il trattato internazionale del 1961 che considera l’infiorescenza di canapa come una sostanza soggetta a controllo sugli stupefacenti e l’impossibilità delle forze di polizia di distinguere la canapa dalla marijuana.

Forse una soluzione ad entrambi i problemi può arrivare dalle recenti raccomandazioni dell’OMS sulla cannabis e derivati.

QUALCOSA A LIVELLO INTERNAZIONALE STA CAMBIANDO

L’OMS è l’unico organo che può proporre di rivedere lo status di controllo delle sostanze soggette a controllo internazionale. Così per la prima volta nel giugno 2018 è stato avviato l’iter per valutare il grado di pericolosità per la salute pubblica del CBD, della cannabis, dei suoi estratti, del THC e dei suoi isomeri. Le raccomandazioni rese pubbliche agli inizi del 2019 indicano che il CBD deve essere escluso dal controllo sugli stupefacenti e riconosce impieghi medici per la cannabis riducendo il grado di controllo. Infatti l’OMS raccomanda di eliminare la cannabis dalla tabella IV della Single Convention del 1961 dove sono incluse quelle sostanze, come l’eroina, con un forte rischio d’abuso e con scarso se non nullo valore medico. E’ per obbedire a questi stringenti controlli che l’Italia permette la coltivazione della cannabis al solo Istituto Chimico Farmaceutico Militare. La raccomandazione dell’OMS è stata quella di inserire la cannabis nella sola tabella I, in cui sono inserite sostanze come la morfina. Cosa vuol dire? Che la cannabis sarebbe quindi sottoposta ad un controllo molto stringente circa la sua produzione e commercio, permettendone nel contempo una facile disponibilità per scopi medici e di ricerca. E’ però da sottolineare che queste raccomandazioni non avranno valore giuridico fino a quando non verranno votate dalla Commission of Narcotic Drugs (CND) delle UN, probabilmente il prossimo marzo 2020 durante il 63rd CND meeting. Se la votazione dei 53 Stati con diritto di voto sarà favorevole allora le raccomandazioni dell’OMS saranno giuridicamente valide.

In ogni modo le nuove raccomandazioni dell’OMS, però, non modificano il termine “cannabis” e quindi non differenziano tra infiorescenza con contenuto inferiore o superiore allo 0.2% di THC cioè tra marijuana e infiorescenza di canapa. Invece dicono che “preparazioni” a base di cannabis contenenti principalmente CBD e con contenuto inferiore allo 0.2% di THC sono escluse dal controllo. Cosa si intende per preparazione? una miscela solida o liquida di cannabis. Quindi l’infiorescenza come tale indipendentemente dal contenuto in THC sarebbe sostanza sotto controllo. Invece se estratta, tritata o in qualche modo trasformata in una preparazione con contenuto in THC inferiore allo 0.2% non sarebbe sotto controllo. In questo modo anche se nel caso estremo il coltivatore dovesse ottenere un valore di concentrazione dello 0.6% di THC basterebbe che l’infiorescenza venga “diluita” con foglie e fusto di canapa per l’ottenimento del trito con una concentrazione massima di THC dello 0.2% (foglie e fusto contengono quantità minime di THC).

Considerare l’infiorescenza di canapa tal quale (anche sotto lo 0,2% di THC) sostanza stupefacente faciliterebbe il compito delle forze dell’ordine che riuscirebbero a distinguere immediatamente l’infiorescenza drogante. Considerare il trito di infiorescenza sotto lo 0.2% di THC non stupefacente ma PRODOTTO SEMILAVORATO porterebbe alla impossibilità del coltivatore di venderlo al dettaglio (per qualsiasi uso) ma soltanto a ditte di trasformazione come le farmaceutiche, alimentari, cosmetiche ecc. Il prodotto semilavorato (il trito di canapa) sarebbe controllato dai regolamenti del farmaceutico, alimentare, cosmetico ecc. Quindi quello che bisogna regolamentare è il prodotto finito per la quantità di cannabinoidi. Esempio olio d’oliva alla canapa: non più di 5 o 10 ppm di THC; birra alla canapa: non più di…ppm di THC ecc. In questo modo si eviterebbe la vendita incontrollata di infiorescenza di canapa. Le forze di polizia sarebbero facilitate nel loro compito perché il fiore intatto sarebbe subito punito mentre dovrebbero controllare solo grossi quantitativi di trito di canapa (in ogni modo ci sarebbe il controllo successivo sui prodotti finiti con responsabilità della ditta produttrice di prodotto finito a base di canapa).

Anche l’Europa si sta concentrando sulla regolamentazione dei prodotti finiti a base di canapa (es considerandoli novel food) piuttosto che sull’infiorescenza di canapa stessa. In USA, il Farm Bill Act del 2018 ha escluso la canapa con contenuto in THC inferiore allo 0.3% da qualsiasi controllo e quindi liberamente coltivabile e commercializzabile, inclusa l’infiorescenza. E’ estremamente importante ora concentrarsi sulla regolamentazione dei prodotti finiti derivati dalla canapa. Infatti tutti i prodotti derivanti dal seme di canapa, l’olio di semi di canapa, la farina alla canapa ecc., sono ormai diffusi. Vedere sul bancone del supermercato l’”olio di canapa” (es. prodotto da olio d’oliva aromatizzato alla canapa) non influisce diversamente dall’”olio di semi di canapa” sulla percezione dell’opinione pubblica. Ma quest’ultimo sarebbe controllato perché sarebbe controllata sia la canapa utilizzata per produrlo (tutti i controlli necessari per considerare la canapa destinata all’alimento) che il prodotto finito (etichetta con valori nutrizionali e contenuto in cannabinoidi).

Un altro punto importante da tenere presente è un lavoro scientifico pubblicato dalla rivista Nature il 27 febbraio scorso, che descrive come il lievito, modificato con i geni della cannabis, è in grado di produrre THC, CBD e cannabinoidi sintetici molto attivi. Ho letto qualche giorno fa di un estratto al CBD proveniente dal luppolo venduto in California. Concentrarsi sull’infiorescenza di canapa e non sulle concentrazioni di cannabinoidi in qualsivoglia materiale potrebbe essere nel prossimo futuro un errore.

Facciamo tornare la canapa ad essere canapa e la marijuana ad essere marijuana!!!!