CANNABIS LIGHT: tra Cassazione e sequestri.


L’ennesima occasione per affermare la logica ed il buon senso.


In questi ultimi giorni si sono susseguite notizie che hanno destato l’attenzione e la preoccupazione degli addetti ai lavori e degli operatori del settore canapa.

Da un lato, infatti, sono circolate anticipazioni sulle decisioni della Suprema Corte di Cassazione che si è pronunciata su alcuni ricorsi presentati sia dai PM avverso i decreti di dissequestro di cannabis light da parte di alcuni Tribunale del Riesame sia – al contrario – da parte di alcuni commercianti avverso i sequestri convalidati.

Dall’altro, sono emerse alla cronaca le notizie circa le operazioni di polizia che in Puglia ed in Emilia Romagna hanno portato a nuovi sequestri presso esercizi commerciali che vendevano cannabis light.

Su tali notizie il web si è letteralmente scatenato tra i soliti favorevoli e contrari, Guelfi e Ghibellini, alcuni con toni allarmistici altri con toni trionfalistici, tutti comunque accumunati nell’invocare maggiore chiarezza e certezza sulla materia.

E proprio quest’ultima esigenza ha spinto il sottoscritto, che da un po’ di tempo – per fortuna o purtroppo – si occupa delle problematiche del settore, a scrivere questo articolo.

A parere dello scrivente ogni commento circa le recenti sentenze della Cassazione appare al momento quantomeno affrettato e rischia di essere fuorviante.

In primo luogo occorre infatti distinguere i casi in cui la Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi (siano essi presentati dal PM oppure dai negozianti) inammissibili da quelli in cui invece si è pronunciata sui motivi del ricorso.

Un ricorso dichiarato inammissibile è un ricorso sul quale la Corte non si è pronunciata sui motivi del ricorso e – conseguentemente – non può costituire un precedente giurisprudenziale cui fare riferimento, soprattutto in una materia dibattuta e giuridiciamente nuova come quella della cannabis light.

Negli altri casi in cui la Corte di Cassazione si è pronunciata sui ricorsi – ritenendoli pertanto ammissibili – non risultano ancora depositate le motivazioni dei provvedimenti, ossia ancora non si conosce l’impianto logico-giuridico con cui la Cassazione ha trattato gli argomenti e, conseguentemente, è arrivata alla decisione.

Pertanto per poter commentare l’operato della Cassazione e trarre argomenti giuridicamente rilevanti e spendibili nella vita quotidiana, occorre necessariamente attendere il deposito delle motivazioni perché altrimenti rischiamo di cadere in un processo alle intenzioni, circostanza che di per sé alimenta ancora di più la confusione e l’incertezza intorno alla cd. cannabis light.

Il tutto anche perché, a quanto risulta, la Cassazione sembrerebbe aver sostanzialmente confermato quanto già stabilito dai Tribunali del Riesame nel corso del corrente anno 2018, ossia la sostanziale liceità della commercializzazione delle infiorescenze nel rispetto dei limiti e dei requisiti della L. n. 242/2016.

Ogni ulteriore questione potrà essere definitivamente chiarita soltanto leggendo le motivazioni delle pronunce della Corte di Cassazione ed in via definitiva – qualora tali pronunce lascino aperte questioni irrisolte o contrastanti (ad esempio la nota questione del limite di THC ai commerci) – soltanto da una successiva pronuncia a Sezioni Unite.

Poiché i tempi di tale iter non sono sicuramente immediati, ma anzi si prevedono piuttosto lunghi, al momento la situazione italiana della cannabis light non è certamente cambiata in virtù di quanto trapelato dalla Cassazione, così come del resto non era cambiata a seguito del calderone mediatico scatenato dal parere del CSS del 21.06.2018 e dalla circolare del Ministero dell’Interno del 31.07.2018.

Ed ecco che arriviamo al secondo tema di attualità ossia la nuova ondata di sequestri nei negozi di cannabis light.

A quanto risulta l’attuale ondata di sequestri non prende le mosse – anche per semplici motivi temporali ed organizzativi – dalle sentenze della Cassazione, bensì trovano origine e fondamento nelle preoccupazioni espresse dal Ministero dell’Interno con la circolare dello scorso luglio, ossia nella tutela dell’ordine pubblico.

Già in tale circolare, infatti, il Ministero aveva espresso le proprie preoccupazioni su fenomeni che si erano diffusi nella prassi: vendita di infiorescenze sfuse, in confezioni anonime o prive di etichetta, utilizzo da parte di consumatori di contenitori della cannabis light regolarmente etichettata per celare altri tipi di cannabis ad oggi illegali ed altre condotte potenzialmente illecite.

Da tali preoccupazioni (riassumibili nel concetto di ordine pubblico) il Ministero aveva emanato una circolare per dare indicazioni alle Forze dell’Ordine rilevando come il contesto di presunta legalità in cui avviene la vendita (ossia il negozio) non potesse rappresentare un elemento di per se stesso sufficiente ad escludere ogni controllo o la legalità di quanto venduto.

Sulla scorta di tali considerazioni, il Ministero concludeva nella necessità di far prevalere in ogni caso l’ordine pubblico eseguendo i controlli sui prodotti di cannabis light al fine di verificare il rispetto dei requisiti di legge.

Ecco, rileggendo la circolare alla luce degli avvenimenti di questi giorni, si denota una evidente applicazione da parte delle Forze dell’Ordine delle disposizioni impartite dal Ministero.

Analizzata la situazione, ciò che si continua ad avvertire è l’esigenza di certezza del diritto per tutelare gli investimenti fatti nel settore da agricoltori e commercianti. Nella situazione attuale, infatti, se da un lato gli agricoltori sono relativamente tranquilli in quanto hanno una normativa di riferimento che si riferisce espressamente a loro (la legge n. 242/2016 parla di coltivazione), dall’altro i commercianti sono coloro maggiormente esposti subendo tutte le incertezze della filiera (sequestri, sanzioni, ricorsi, spese legali).

Ma per cercar di trovare una soluzione alla situazione che si è venuta a creare occorre che la questione versi su tematiche differenze. Superare le divisioni interne al settore, individuare una linea unica ed affermare con decisione e chiarezza le regole del gioco.

A partire dal limite di THC nei prodotti, sul quale verrebbe da dire che se l’Europa (a torto o ragione) ha stabilito un limite lo 0,2% (ad eccezione di Austria e Lussemburgo ove è lo 0,3%) difficilmente appare sostenibile tout court un’anomalia italiana ove il limite ammesso sulla canapa industriale è lo 0,6%. Ma tale questione non può certamente essere rimessa alla Corte di Cassazione o all’abilità interpretativa degli avvocati, ma deve essere affrontata nelle sedi competenti a Roma e Bruxelles.

Ma le regole del gioco rilevanti per il settore non sono soltanto i limiti di THC, bensì le modalità di esecuzione dei controlli, il riconoscimento della presunzione di legalità per prodotti commerciali leciti che circolano e vengono venduti con regolare documentazione accompagnatoria e fiscale, ossia tutte questioni che determinano nella prassi concreta quotidiana una ragionevole certezza del diritto (per quanto possibile nel nostro Paese tipicamente caratterizzato da interpretazioni difformi da caso a caso).

Per poter raggiungere l’agognata certezza del diritto è necessaria maggiore unione di intenti, condivisione degli scopi e la determinazione di protocolli d’intesa con le stesse Forze dell’Ordine su come devono essere eseguiti il campionamento, le analisi ed i controlli che non possono tradursi in sequestri indiscriminati di interi negozi o interi magazzini soltanto per verificare i livelli di THC nei prodotti (i quali, peraltro, quando vengono venduti in negozio sono regolarmente etichettati ed i limiti di THC sono già stati verificati dagli agricoltori in campo e, successivamente, al momento del confezionamento).

Ma per fare questo è necessario anche che il settore isoli ed escluda coloro che non rispettano o non condividono le regole, è necessario evitare condotte poco chiare e sicuramente sconsigliate da qualunque professionista serio quali la vendita di prodotti sfusi, di dubbia provenienza o di incompleta tracciabilità.

Detto questo, a mio modesto parere, la questione cannabis light, anzi cannabis in generale, deve essere affrontata su due piani:

  • Sotto il profilo del bilanciamento dei diritti costituzionali in gioco: se assolutamente legittima è la tutela dell’ordine pubblico e della salute pubblica, dall’altro occorre considerare anche la libertà personale e la libertà di iniziativa economica privata. E’ quindi necessario operare una ponderazione di tali valori che tenga conto dell’evoluzione sociale e delle nuove esigenze dei consumatori. E’ chiaro che il concetto di ordine pubblico non può essere lo stesso nel 1942 e nel 2018, così come il concetto di salute pubblica oggi è sicuramente più decisivo che in passato a garanzia del consumatore, ma ciò che in uno Stato moderno e liberale deve essere considerato come inviolabile è la libertà personale e la libertà di iniziativa economica privata. Logica e buon senso sono senz’altro di aiuto per poter operare tale ponderazione sotto un profilo squisitamente pubblicistico.
  • Persistere nel percorso di regolamentazione della cannabis light in corso al fine di individuare destinazioni di utilizzo chiare che portino al definitivo accantonamento dell’uso tecnico o da collezione che, se da un lato ha rappresentato il cavallo di Troia per aprire il mercato, dall’altro rischia di rappresentare il limite stesso del settore.

In questo percorso fondamentale è il riconoscimento della Cannabis sativa L. (TUTTA senza distinzioni) tra le piante officinali, nonché una chiara disciplina della destinazione alimentare della canapa (che a mio avviso non può escludere il riconoscimento degli estratti di cannabinoidi non psicoattivi in una categoria certa destinata al consumo umano) per attenersi agli interventi legislativi da tempo attesi ed annunciati.

Concludendo, a parere dello scrivente, gli ultimi eventi non devono determinare trionfalismi o allarmismi, bensì devono rappresentare la molla per persistere nel percorso intrapreso per la crescita e lo sviluppo del settore canapa e – perché no – occasione per mettere da parte le singole prospettive ed individuare una comunione di intenti che possa essere rilevante ed efficace in sede istituzionale.

Livorno, 18.12.2018 Avv. Giacomo Bulleri – Studio Legale Bulleri